Toni distesi e parole al miele nella visita di Donald Trump in Israele. Il presidente USA è atterrato stamattina a Tel Aviv, per la seconda tappa del suo primo viaggio all’estero che lo ha già portato in Arabia Saudita.
All’aeroporto Ben Gurion, ad attenderlo c’era il premier Benjamin Netanyahu, che lo ha ringraziato “per la sua storica visita in Israele” e ha detto di sperare che un giorno uno statista israeliano “possa volare da Tel Aviv a Riyadh con un volo diretto”. “Israele cerca la pace”, ha aggiunto.
“Nel mio viaggio in questi giorni ho trovato nuove ragioni di speranza”, gli ha replicato Trump: “Abbiamo un’opportunità rara di portare stabilità e pace nella regione”.
Netanyahu ha sempre chiamato Trump per nome, il che in inglese equivale a darsi del tu. In linea con lo stile del premier, notoriamente piuttosto informale anche rispetto ai rilassati standard israeliani, ma ha creato la stessa impressione amichevole di quando è stato lui a visitare Washington.
Poi Trump è andato a Gerusalemme, dove ha incontrato il presidente Reuven Rivlin. I due capi di Stato hanno espresso “grande fiducia” nella fatto di poter ottenere “grande successo” e raggiungere “tutti gli obiettivi insieme”. Obiettivi alti, che includono la firma di un difficile accordo di pace: “I giovani israeliani e palestinesi meritano di crescere al sicuro e di seguire i loro sogni liberi dalla violenza che ha distrutto così tante vite”.
“Stati Uniti e Israele – hanno detto i due presidenti – possono dichiarare a una sola voce che all’Iran non dovrà mai essere consentito di possedere l’arma nucleare, mai, mai” e dovrà smettere di “addestrare e finanziare gruppi terroristici e milizie”. Accuse dirette alle quali Teheran ha risposto per le rime, sulla scia della riconferma elettorale del presidente Hassan Rouhani. Secondo quanto ha riferito Bahram Qasemi, il portavoce del ministero degli Esteri, l’Iran ha chiesto agli USA di “smettere di fornire armi ai principali sponsor del terrorismo”. Il riferimento è all’accordo di fornitura di armi per 110 miliardi di dollari firmato da Trump lo scorso fine settimana in Arabia Saudita, Stato che l’Iran accusa di sostenere diversi gruppi terroristici e insurrezionalisti in giro per il Medio Oriente, più precisamente molti dei gruppi terroristici e insurrezionalisti che non sono sostenuti dallo stesso Iran.
Dopo l’incontro con Rivlin, Trump ha visitato il Muro del pianto, dove si è raccolto in preghiera, primo presidente USA a farlo. Kippah nera in testa, Trump ha pregato nella sezione riservata agli uomini, accompagnato dal rabbino Shmuel Rabinovich e senza nessun rappresentante ufficiale del governo israeliano. Ma anche così le sue azioni hanno destato perplessità e commenti.
Il Muro del pianto è l’ultimo frammento superstite della cinta muraria perimetrale del Secondo Tempio di Gerusalemme, costruito dal re di Israele Erode il grande e demolito dai Romani. Sulla sommità della collina – che gli ebrei chiamano Monte del Tempio – si trova la Spianata delle Moschee. Questo significa che nello spazio di poco più di due chilometri quadrati si trovano luoghi sacri fra i più riveriti e rispettati dell’Ebraismo e dell’Islam. A complicare ulteriormente la questione, il Muro sorge nella città vecchia di Gerusalemme, nella metà est della città: formalmente, quindi, non fa parte dello stato di Israele, ma dei territori palestinesi occupati dall’esercito israeliano dopo la guerra dei Sei giorni, il cui cinquantesimo anniversario ricorre fra meno di un mese.
F.M.R.
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