Donald Trump si è detto pronto a inviare truppe USA alla frontiera con il Messico. Il presidente USA ne ha parlato ieri al telefono con il suo collega messicano, Enrique Peña Nieto.
“Laggiù avete un sacco di hombres cattivi”, avrebbe detto Trump, secondo la trascrizione dell’agenzia Associated Press. “Non state facendo abbastanza per fermarli. Penso che i vostri soldati abbiano paura. I nostri no, potrei inviarli laggiù”.
La trascrizione pubblicata dalla CNN cambia il tono dell’avvertimento, ma non la sostanza. Secondo la rete all-news di Atlanta, Trump avrebbe detto che gli USA sono “disposti ad aiutare” il Messico contro gli “hombres cattivi”, ma “bisogna che siano messi fuori combattimento e voi finora non avete fatto un buon lavoro per metterli fuori combattimento”.
La Casa Bianca non ha rilasciato commenti sull’accaduto, mentre il ministro degli Esteri messicano, Luis Videgaray, ha smentito con forza che si sia trattato di una minaccia. Trump e Peña Nieto, a quanto ha affermato il ministro su Twitter, “sono giunti all’accordo di continuare a lavorare e che gli staff dei due paesi continueranno ad incontrarsi per giungere ad un’intesa positiva”. Videgaray ha anche puntualizzato di essere stato l’unica persona presente nell’ufficio del presidente messicano durante la telefonata.
Il Messico non è l’unico alleato su cui Trump è entrato a gamba tesa: avrebbe usato le maniere forti, scrive il Washington Post, anche in un’altra telefonata con il premier australiano Malcolm Turnbull. Il premier gli avrebbe chiesto di rispettare l’accordo che impegna gli USA ad accogliere 1250 rifugiati ora “ospiti” delle carceri australiane. Il presidente gli avrebbe ribattuto che quell’accordo è “la peggior intesa di sempre” e accusando l’Australia di voler esportare terroristi, e così avrebbe tagliato la telefonata dopo 25 minuti, in largo anticipo sui 60 previsti.
Turnbull si è rifiutato di commentare (“È bene che queste conversazioni – ha detto ai giornalisti – siano condotte in modo chiaro, franco e privato”), limitandosi a ribadire che i rapporti fra Canberra e Washington sono e restano “molto forti”.
Le ultime uscite di Trump non sono state ben accolte nemmeno a Bruxelles. Il punto dolente, che arriva dopo giorni di botta e risposta a distanza, è la nomina del prossimo ambasciatore USA presso la UE: il presidente ha nominato Ted Malloch, ma i principali gruppi del parlamento di Strasburgo hanno promesso battaglia.
“Nella mia precedente carriera diplomatica ho aiutato ad abbattere l’Unione sovietica”, ha detto Malloch giorni fa in un’intervista alla BBC; “ora sembra che ci sia un’altra Unione che ha bisogno di una scossa”. Per poi proseguire prevedendo la fine dell’euro in tempi brevi e apostrofando Jean-Claude Juncker, il presidente della Commissione UE, come un buon sindaco di qualche paesino del Lussemburgo.
Una presa di posizione netta, che a Strasburgo ha suscitato una reazione compatta. Anzi, ha avuto l’effetto di riavvicinare i capigruppo di popolari, socialdemocratici e liberaldemocratici, che avevano appena rotto la “grande coalizione” intorno all’elezione del nuovo presidente dell’Europarlamento, l’italiano Antonio Tajani. E così il capogruppo PPE – il tedesco Manfred Weber, leader della CSU bavarese alleata con Angela Merkel – ha detto, d’accordo con il capo del PSE, Gianni Pittella, che “un ambasciatore americano che mette in dubbio l’euro e si augura la fine dell’Europa non deve essere accreditato”.
Per ora il dipartimento di Stato di Washington non ha ancora indicato formalmente il nome di Malloch a Bruxelles, ma in questo momento sembra realistico che la sua candidatura possa essere respinta. La procedura ha diversi passaggi, e il dossier può essere respinto a ogni tappa. Prima di tutto l’ambasciata USA dovrebbe inviare il dossier alla Commissione, che lo girerebbe all’Alto rappresentante per la Politica estera Federica Mogherini, la quale a sua volta lo passerebbe al presidente del Consiglio UE Donald Tusk. A quel punto scatterebbe una finestra di 30 giorni per raccogliere eventuali rimostranze da parte degli Stati membri UE. Solo in caso di silenzio-assenso la candidatura si potrebbe dire approvata.
Tusk, da parte sua, nella lettera con cui ha invitato i capi di Stato e di governo dei 28 al summit in programma domani a Malta, ha incluso Trump – fianco a fianco con l’ISIS e – tra “le sfide più pericolose di sempre”. E ieri a Strasburgo la Mogherini si è detta “preoccupata dalle tendenze che emergono nella società americana”.
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