In questa giornata di campionato (ancora incompleta visto che Napoli e Fiorentina giocheranno stasera) la copertina se la prendono di diritto la Lazio e, soprattutto, i suoi tifosi. In occasioni normali si potrebbe titolare “vittoria rocambolesca dei biancocelesti” o “notte gi emozioni forti all’Olimpico”, visto quanto accaduto nel 3-2 al Sassuolo. Ma di normale in quello che è accaduto a Roma ieri c’è stato ben poco.
Luci della ribalta tutte per l’annunciata contestazione a Lotito. Una protesta durissima ma va detto, perché la notizia dati i tempi è forse questa, più che civile. Oltre 30000 tifosi presentatisi sugli spalti dell’Olimpico (neanche per Lazio-Juve un’affluenza così nutrita) muniti di cartoncino con la scritta “Libera la Lazio” e cori e striscioni contro il presidente per tutti i 90 minuti (con un “Aridatece i marò, piateve Lotito” epocale), a comporre una coreografia degna di un derby capitolino.
Le ragioni di tanta esasperazione sono, ormai, ben note a tutti e chi pensa si tratti solo di delusione per le due sconfitte in quattro giorni o per la cessione (meglio sarebbe dire svendita) di Hernanes dimostra di esser lontano anni luce dalla conoscenza di ciò che avviene (e, soprattutto, che non avviene) quotidianamente a Formello e dintorni. Promesse di acquisti ad ogni finestra di mercato, poi regolarmente disattese (l’unica eccezione quest’estate ma si è investito nel reparto che meno necessitava di rinforzi e su giocatori, al momento, non dimostratisi all’altezza), gelo assoluto con la tifoseria (e non si tratta dei soliti compromessi con i capi ultras) testimoniata in tutti i modi possibili e immaginabili: allenamenti sempre o quasi a porte chiuse, nessun giocatore autorizzato a presentarsi in trasmissioni sportive, nazionali e locali, per rilasciare interviste (salvo quelle, a caldo e in esterna, nei dopopartita), salvo che nella radio “presidenziale”, nessuna promozione del marchio Lazio tra i più giovani (iniziative presso scuole o benefiche, per dirne una) per fidelizzare nuove leve, nessuna presenza di bandiere del passato di comprovata fede biancoceleste nell’organigramma (l’ostracismo a Bob Lovati fu esemplare) per dare un’impronta di “lazialità”, un’immagine della società che finisce con il coincidere con quella del suo “gestore”. Inizialmente, di una singolarità tale da suscitare persino simpatia ma poi scaduta a macchietta con i soliti monologhi (con lui dibattere è un’impresa) su “moralizzazione” e dintorni. Un’immagine tutt’altro che edificante. In un mondo che, giusto o sbagliato che sia, di immagine si nutre. Ma, quel che è peggio, anche la sostanza risulta discutibile. Rifiutare di sedersi ad un tavolo con giocatori e rispettivi procuratori, aspettando che si arrivi a ridosso della scadenza contrattuale per poi doverli necessariamente “svendere” oppure non accettare da anni proposte di sponsorizzazione sulle maglie perché inadeguate al valore della Lazio quando si potrebbero incassare cifre, magari non esorbitanti, ma comunque utili a far cassa, sono esempi di cattiva gestione. Proprio ciò di cui il presidente va più fiero. E il tutto condito dalla “minaccia” di rifiutare qualsivoglia trattativa (posto che vi siano soggetti interessati, ma fa niente, Lotito non ci tratterebbe comunque) per un passaggio di mano. Tanto la società, prima o poi, passerebbe…al figlio. Una gestione padronale, assolutamente non in linea con i tempi e neanche con il buon senso che dovrebbe suggerire maggior rispetto verso i propri “gestiti” e che restare a dispetto dei santi non è neppure un buon affare.
Tornando al calcio giocato, Juve e Roma proseguono le rispettive marce parallele verso un rettilineo d’arrivo che si preannuncia lastricato di primati. I giallorossi hanno espugnato, non senza sofferenze, Bologna nell’anticipo grazie al neoacquisto Nainggolan. La Juve ha risposto con analogo risultato nel derby con il Toro, battuto da una prodezza del solito Tevez. Tutto come sempre. Polemiche arbitrali incluse.
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