Razzi di fabbricazione russa hanno colpito il quartier generale delle forze governative e un quartiere residenziale a Kramatorsk, in Ucraina orientale.
Lo ha riferito all’agenzia Interfax il presidente ucraino Petro Poroshenko, affermando che l’attacco ha provocato almeno sei morti e una ventina di feriti. Ma un portavoce dei separatisti filorussi, interpellato dall’agenzia Ria, ha negato attacchi alla città. Kramatorsk si trova nelle vicinanze di Sloviansk, 50 km oltre la linea del fronte, nella zona controllata dal governo di Kiev, che l’ha strappata ai ribelli in estate. I razzi usati nell’attacco sarebbero compatibili con i lanciarazzi russi Grad o Tornado, e potrebbero essere stati lanciati da Horlivka.
Intanto, la Guardia Nazionale ucraina ha annunciato di aver lanciato un’offensiva contro i separatisti ad est del porto di Mariupol, e il battaglione Azov, composto da miliziani volontari e legato agli ultranazionalisti di Kiev, ha annunciato di aver conquistato quattro villaggi nelle vicinanze.
Mosca non sta a guardare: secondo Interfax, circa duemila soldati russi avrebbero iniziato esercitazioni nei pressi del confine con l’Ucraina; altri seicento, riferisce Ria Novosti, sono impegnati nella penisola di Crimea, annessa alla Russia a marzo 2014 dopo un contestato referendum i cui esiti non sono stati riconosciuti da gran parte della comunità internazionale.
Mentre sul campo il conflitto non accenna a perdere d’intensità, la comunità diplomatica internazionale attende con apprensione mercoledì, data in cui è previsto il vertice del “formato Normandia” (Ucraina, Russia, Francia e Germania) a Minsk.
Intanto, martedì nella capitale bielorussa si riuniranno i rappresentanti del “gruppo di contatto”, composto da esponenti di governo ucraino, governo russo, separatisti filorussi e OSCE.
Ieri era arrivata una presa di posizione del presidente americano Barack Obama: in una conferenza stampa congiunta con la Cancelliera tedesca Angela Merkel, volata a Washington in rappresentanza dei mediatori europei, Obama si era dichiarato pronto ad armare il governo ucraino in caso di fallimento dei negoziati. Il presidente Usa ha spiegato di essersi consultato con la Merkel, come farà con gli altri alleati, in attesa di prendere una decisione, ma ha accusato Vladimir Putin, senza giri di parole, di aver “violato tutti gli impegni presi” con il primo accordo di Minsk. Intanto, la conferenza dei ministri degli Esteri UE aveva approvato nuove sanzioni contro la Russia, la cui applicazione sarà però discussa lunedì 16 febbraio e dipenderà dall’esito delle trattative.
La risposta del Cremlino non si è fatta attendere, affidata al portavoce Dimitri Peskov, che ha definito le nuove sanzioni e l’eventuale fornitura di armi a Kiev “atti destinati ad accentuare la destabilizzazione”. La mossa USA in particolare, accusa Peskov, “porterebbe a una nuova escalation del conflitto”. Peskov ha poi affermato con forza che Putin e la Russia non hanno ricevuto, e che comunque non tollereranno alcun ultimatum.
Aveva preso le stesse parti il segretario del Consiglio di sicurezza russo Nikolaj Patrushev, sostenendo di voler trattare la questione delle armi a Kiev con “strumenti diplomatici”. L’opinione dei russi, secondo Patrushev, è che gli USA puntino a rovesciare la leadership russa per sostituirla con una di loro gradimento.
Da parte sua, Putin ha espresso il suo punto di vista in un messaggio rivolto al personale diplomatico e ai dipendenti del ministero degli Esteri. “La Russia continuerà la sua politica estera indipendentemente dalle pressioni”, si legge sul sito del Cremlino.
Lunedì, dal Cairo, dove si trova in visita ufficiale, Putin aveva attaccato l’Occidente su tutta la linea dalle colonne del quotidiano filogovernativo al-Ahram. In tema di crisi ucraina, l’accusa agli USA è di credersi “i vincitori della Guerra Fredda” e di “imporre ovunque la propria volontà”. Ma Putin aveva avuto da ridire anche sulla gestione della lotta all’ISIS: i raid aerei sponsorizzati da Washington sarebbero stati “illegittimi”, non essendo autorizzati né dall’ONU né dallo Stato sul cui territorio si sarebbero svolti (la Siria di Bashar al-Assad, fedele alleata di Mosca), e “sproporzionati” alle dimensioni “senza precedenti” della minaccia costituita dai terroristi di al-Baghdadi.
Filippo M. Ragusa
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