L’ultimo inequivocabile avvertimento lo ha lanciato stamane il commissario al bilancio dell’Unione europea, il tedesco Guenther Oettinger: “Possiamo avviare una procedura d’infrazione per disavanzo eccessivo nei confronti dell’Italia “. Il messaggio è chiaro cosi come è evidente la finalità dello stesso: intimidire e ricordare al nostro Paese che a comandare sono sempre i mastini di Francoforte non si sa più se e per quanto tempo ancora sostenuti dalla signora Merckel, una cancelliera alle prese con problemi non da poco e con un piede fuori della porta.
Nome ostile, faccia ostile ed arrogante, vecchia e forse anche preconcetta ostilità da parte di un alto commissario (peraltro in buona compagnia, anche se Moscovici afferma di “lasciare la porta aperta nei confronti di Roma) che, è il caso di dirlo, non si è forse ancora accorto di quanto siano cambiate le cose a partire dal voto del 26 maggio scorso.
Il buon commissario, che tra qualche settimana potrebbe andare a casa senza che nessuno si ricordi più di lui, in fondo è un bravo funzionario, che norme e regole alla mano minaccia, ma che comunque non si è ancora accorto di aver perso il treno del tempo. Vediamo perché cercando anche di capire cosa è cambiato dentro e fuori dei nostri confini nazionali, al di là del merito della questione alla quale comunque bisogna pur rispondere.
Prima ancora di vincere le elezioni il leader della Lega Matteo Salvini aveva detto che quella consultazione serviva per cambiare marcia e contenuti della vecchia Ue.
Lo ha ribadito anche in queste ore ricordando che lui non punta alle poltrone “ma a cambiare l’Europa”.
In ossequio a questo principio, per quanto riguarda i rapporti economici con Bruxelles, Salvini ha ribadito, ieri come in passato, che l’azione di governo italiana sarà finalizzata al rilancio dell’economia e alla salvaguardia degli interessi delle famiglie e delle imprese nazionali. Discorso più che legittimo che evidentemente si scontra con chi, ancora per poco, a Bruxelles comanda in nome di quelle regole che pure gli elettori hanno bocciato nelle urne, provocando contraccolpi politici e istituzionali di non poco conto nel vecchio continente dove trovare una maggioranza stabile sarà impresa abbastanza ardua. E questo lo sanno un po’ tutti.
Lo sa il ridimensionatissimo presidente Emmanuel Macron, al capolinea di una carriera fulminante all’ombra dei poteri forti francesi. Lo sa Angela Merckel che intervenendo ieri ai lavori della commissione economica del suo partito la Cdu, ha fatto autocritica. I risultati elettorali dai quali è uscita semidistrutta la Spd, alleato che con noi ha governato la Germania e l’Europa nel segno del rigore e dell’austerità, ci hanno puniti. Aver guardato solo ai profitti delle imprese che esportavano e ai lucrosi vantaggi di banche e banchieri non paga più. Anche Berlino dunque sembrerebbe intenzionata a cercare alternative. Ma forse è troppo presto. Se a questi scenari però, aggiungiamo la pericolosissima sponda della Brexit e la passeggiata di Trump a Londra dove, in maniera goffa e bullesca, dice ai politici inglesi abbandonate l’Europa – “venite con me e farete grandi affari” – si evince che ci troviamo di fronte ad un quadro decisamente confuso dove trovare il bandolo della matassa non sarà facile.
Dunque, perché criticare il governo Conte Salvini Di Maio, che, in attesa di sviluppi, decidono di dire no ai burocrati di Bruxelles e insistono nell’andare avanti finanziando i timidi segnali di ripresa attraverso un ulteriore indebitamento ed uno sforamento del tetto deficit-Pil? E che senso anno oggi le critiche di quanti, sostenitori dei vecchi governi di centrosinistra quel debito lo hanno fatto lievitare a dismisura negli ultimi sette anni? Sembra di capire ormai che i richiami di Bruxelles non facciano più presa e agganciarsi a quel treno non paga più, soprattutto per chi dai contrasti con la Ue sperava e si illudeva di ricevere un assist per creare nuovi equilibri politici in Italia.
E questo lo si evince in queste ore proprio dagli atteggiamenti, prudenti, di Pd e alleati. Significativi due interventi registrati tra ieri sera e stamane. Intervenendo a Di Martedi l’ex segretario del Pd Pierluigi Bersani ammette senza remore. La sinistra non rappresenta più la classe operaia, la classe operaia vota Salvini. Questa la conseguenza delle politiche di rigore cui il Pd con consapevolezza ha voluto fare da sponda. Tutto ciò – ammette Bersani – ha portato allo scollamento con la nostra base … Dovevamo pensare di più a salari, contratti e welfare, e meno alle banche.
Curioso, ma significativo poi, l’intervento di stamane a Coffee break , di Stefano Fassina di ‘Liberi e uguali’ che parlando della lettera Ue e della procedura di infrazione prossima ventura ha detto testualmente: “Il governo deve resistere e non accettare l’ultimatum di Bruxelles”. Come dire vengono prima i bilanci di famiglie e lavoratori. Voltiamo le spalle a quello che penalizza l’Italia.
Evidente che dietro simili affermazioni si nasconde (peraltro male) la preoccupazione di vedere nuovi consensi verso la Lega di Salvini che sulla battaglia del deficit, prima ancora che quella sul fronte della sicurezza e dell’immigrazione (temi ormai abbastanza saturi), rischia, in caso di elezioni anticipate nel prossimo autunno, di fare un en plein che lo porterebbe diritto a Palazzo Chigi. Comunque, considerazioni a parte, gli assist all’odiato leader dell’ondata nera da parte da parte di esponenti della sinistra italiana dicono che la partita è tutt’altro che chiusa e che alla fine potrebbe vincere proprio chi, per usare le parole del leader della Lega, “avrà la testa più dura”.
Enzo Cirillo
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