Vincenzo Nibali sul gradino più alto del podio del Tour2014
Un uomo solo al comando. La sua maglia è gialla. Il suo nome Vincenzo Nibali. Da Messina. E’ il siciliano non il vincitore, ma il dominatore dell’edizione n. 101 della Grande Boucle. Che, finalmente, sul gradino più alto del podio allestito agli Champs Elysèes, può liberare tutta l’incrdedibile tensione accumulata in tre lunghissime settimane di battaglie e far scendere delle lacrime di felicità e commozione, dopo aver trascorso quasi un mese a controllare avversari, percorsi e anche le proprie emozioni. Un uomo semplice e normale, in grado di compiere imprese eccezionali, come questa cavalcata trionfale lungo le strade transalpine.
Tutte le maglie del Tour2014: Pinot (bianca), Nibali (gialla), Sagan (verde), Majka (a pois)
Distacchi d’altri tempi inflitti agli avversari di turno (7’37” a Pèraud, 8’15” alla maglia bianca Pinot, 9’40” al grande sconfitto, Alejandro Valverde, 11’44” a Van Garderen, 11’46 all’altro “enfant du pays”, Bardet), con quattro tappe all’attivo. Per ritrovare una supremazia più netta bisogna risalire addirittura al Tour vinto dal ‘cannibale’ Merckx nel ’74 con otto tappe vinte e 8’04” su ‘Poupou’ Poulidor, l’eterno piazzato. Quarant’anni fa. Relativamente al solo distacco sul secondo, per trovare chi fece meglio bisogna scomodare le statistiche del Tour del ’97 stravinto dal ‘kaiser’ Jan Ullrich. Ma sappiamo tutti come andò a finire la carriera del tedesco e quali ombre ne accompagneranno sempre il ricordo. Ecco, la vittoria di Vincenzo Nibali è da salutare non solo come un evento sportivo storico per il nostro ciclismo e lo sport tutto (è il settimo italiano a chiudere in giallo dopo Ottavio Bottecchia, vincitore nel 1924 e 1925; Gino Bartali, nel 1938 e 1948; Fausto Coppi, nel 1949 e 1952; Gastone Nencini nel 1960; Felice Gimondi, al suo esordio da pro nel 1965; e l’idolo d’infanzia di Vincenzo, Marco Pantani, trionfatore nel 1998; quella di Nibali è solo la decima affermazione complessiva del nostro pedale Oltralpe in novant’anni, a conferma dell’eccezionalità dell’impresa), ma è anche la vittoria di un ciclismo che, almeno fino a prova contraria, può dirsi, dopo anni davvero bui (l’artificiale e artificiosa “era Armstrong” rappresentava solo la punta di un iceberg) in cui la sua credibilità era scesa ai minimi termini, pulito o che, quantomeno, ha fatto veramente di tutto e di più per cercare di “ripulirsi” al meglio. E, come sottolineato dallo ‘Squalo dello Stretto’, “Al mio primo Tour, nel 2008, avevo l’ambizione di conquistare la maglia bianca (quella riservata al miglior giovane in classifica generale, ndr) ma c’era gente che mi scattava in faccia e che poi avrebbe avuto problemi con il doping. I controlli antidoping hanno fatto grandi passi avanti e sono arrivati i risultati. Senza questi controlli, mirati e ferrei, io oggi non sarei qui“, ha ripetuto in più di un’occasione il messinese in questo Tour, richiesto di un parere sul tema.
Marco Pantani trionfatore al Tour ’98
Felice Gimondi, in giallo nel 1965
Hanno alzato bandiera bianca, in rapida successione, i suoi due più temibili avversari per la maglia gialla, Chris Froome, il campione in carica, ritiratosi dopo due rovinose cadute sul difficilmente addomesticabile pavè di Arenberg già alla 9° tappa, e Alberto Contador, costretto a desistere dopo un’eroica resistenza prima dell’arrivo di La Planche de Belles Filles, sui Vosgi, 5 tappe dopo. Avrebbe vinto ugulamente Nibali, anche con loro in corsa fino alla fine? Viste le prestazioni fornite dal siciliano e la sua fantastica condizione palesata in ogni tipo di situazione, dalle montagne tutte (una vittoria sui Vosgi, una sulle Alpi e una sui Pirenei, quasi a voler imprimere il proprio marchio a fuoco su ogni asperità), ai sette settori di pavè di Arenberg, ai saliscendi di Sheffield (il primo e, sicuramente, più inatteso dei suoi quattro sigilli), alla lunga e difficile cronometro individuale di ben 54 km da Bèrgèrac a Pèrigueux (conclusa con un ottimo 4° posto e distacco contenuto entro i due minuti nei confronti del solo superspecialista delle gare contro il tempo, il tedesco Tony Martin), verrebbe da rispondere d’acchito che Nibali avrebbe vinto ugualmente. Del resto, finchè i suoi due più accreditati rivali erano ancora in gara, il campione d’Italia era comunque saldamente in testa con un buon margine di 2’37” su Contador. Ragionevole pensare che, in salita, difficilmente, avrebbe perso terreno e anche i considerevoli miglioramenti nelle prove a tic tac gli avrebbero consentito di gestire la corsa. E, forse, aveva ragione proprio lui, Vincenzo da Messina, nel rispondere alle tante critiche piovutegli addosso ingenerosamente dopo una prima parte di stagione in tono minore (solo il Tricolore, poco prima dell’avvio del Tour e l’onta di una lettera di richiamo per “scarso rendimento” firmata dal suo g.m. Alexandre Vinokourov, pervenutagli solo un mese prima dell’avvio della Grande Boucle) che il suo principale, se non unico, obiettivo di questo 2014 era proprio la corsa francese. Froome e Contador, invece, vuoi perchè già vincitori della Grande Boucle, vuoi perchè onnivori di natura, andavano già fortissimo in tutte le corse di preparazione (l’inglese al Giro di Romandia ed entrambi al Delfinato). Nibali, no: aveva programmato il proprio picco di forma proprio in coincidenza con le tre settimane della corsa in giallo. Condotta indossando il simbolo del primato per ben 19 tappe (eguagliati Coppi e Gimondi per numero di maglie gialle indossate da un italiano, dietro alle sole 34 di ‘Botescià’ e le 23 di Ginettaccio) sulle 21 previste. La netta sensazione di un dominio. E, comunque, visto che la capacità di non cadere rientra a pieno titolo tra le abilità richieste ad un corridore, non sarebbe affatto onesto intellettualmente affiancare al nome del vincitore 2014 la postilla “what if…”. Nibali è arrivato al Tour al massimo delle proprie possibilità, gli altri no. Ed è un dato di fatto. E, se le ascese prepotenti su Vosgi, Alpi e Pirenei hanno confermato la forza del siciliano in salita, rimane che le due imprese più notevoli, forse proprio perchè ottenute su tracciati dove meno si attendeva il grande acuto dello “squalo”, sono state quelle della ‘piccola Liegi’ (Sheffield) e della ‘piccola Roubaix’ (Arenberg). In entrambi i casi, Froome e Contador c’erano. Punto. Il siciliano sarà stato anche più fortunato nell’evitare, per questione di centimetri, pericolosi coinvolgimenti in ruzzoloni di massa ma questa è anche strategia di corsa. E pure a volerla degradare a mera buona sorte, la fortuna, si sa, aiuta gli audaci. E Nibali è sempre stato, alternativamente, in controllo o in attacco. Mai in difesa. Ha subito qualche tentativo da parte di Valverde (il più “nobile” tra gli avversari rimasti in gara), come nella discesa dal Tourmalet, ma lo ha prontamente neutralizzato, servendosene come rampa di lancio per sferrare le proprie terribili progressioni, come sulla salita dell’Hautacam, affrontata come fosse una cronoscalata. E poi Vincenzo correva con la fame di chi il Tour non lo aveva ancora vinto. In sostanza, sono venuti meno gli altri due pretendenti al trono? Per una volta ci sia consentito rispondere con un neanche troppo patriottico, quanto razionale, chissenefrega. Gli assenti hanno sempre torto. Se vorranno, Vincenzo sarà pronto ad offrire loro la rivincita ad un Tour2015 che si preannuncia, sin da adesso, una trasposizione su due ruote di “Guerre Stellari”. Così come sarà interessante vedere Nibali alle prese anche con i due colombiani che hanno dominato l’ultimo Giro, Quintana e Uràn. Sarebbe bello vederlo anche battagliare con l’altro inglese da copertina (uno è Froome), Bradley Wiggins, ma il britannico difficilmente ritornerà sulla propria decisione di abbandonare la strada per tornare alla pista, il primo vero amore.
Eddy Merckx fa il vuoto in uno dei suoi 5 Tour
Ma la prospettiva più intrigante, per noi italiani, sarà vedere come riusciranno a convivere, con la stessa maglia (quella dell’Astana) il nostro campione più forte con il nuovo astro nascente del ciclismo azzurro, quel Fabio Aru, straordinario terzo al Giro. Un siciliano contro un sardo: l’irresistibile ascesa di due realtà, quelle isolane, da sempre ai margini del grande ciclismo, spesso monopolio di atleti nati e cresciuti dalla Toscana in su. E non è un caso che anche Nibali, a soli 16anni, decise, per apprendere i “trucchi del mestiere”, di lasciare la propria famiglia per trasferirsi nella regione del Chianti ( a Mastromarco, per la precisione). Comunque, dopo le imprese di Rossella Fiamingo e di Enrico Garozzo ai Mondiali di scherma, Nibali rappresenta il simbolo del deciso rilancio della Sicilia. Un ottimo segnale per tutto il Paese: in Italia, anche in un momento di forte crisi, particolarmente avvertita soprattutto nel meridione, ci si può ancora guadagnare un posto al sole, pur non disponendo di strutture paragonabili con il più florido settentrione. Ai nostri dirigenti il compito di far sì che queste eccellenze non rimangano lampi isolati, lavorando sodo per costruire attorno a questi fuoriclasse un movimento all’altezza.
Ora, dopo i meritati festeggiamenti protrattisi fino a tarda notte a La Cantine du Faubourg a Parigi, e i remunerativi circuiti che attendono in Belgio e Olanda il siciliano, rimane da completare il segmento finale di questo già trionfale 2014: le ultime classiche con il Lombardia in testa (per durezza del tracciato, forse la classica che più si attaglia alle caratteristiche dello “squalo”) e il Mondiale, di scena quest’anno a Ponferrada: un circuito non molto adatto alla maglia gialla, ma il Ct Cassani è già al lavoro per convincere il fuoriclasse della Trinacria a partecipare ugualmente, quantomeno per dare una robusta mano ai compagni in azzurro più veloci di lui. Ma anche la maglia con i colori dell’arcobaleno rientra tra i programmi a medio-lungo termine di Vincenzo. Che ha ribadito di puntare sempre sulle grandi corse a tappe, ma di non voler trascurare nè il Mondiale nè le altre corse di un giorno, come la “classicissima” (la Milano-Sanremo), la “Doyenne” (la Liegi-Bastogne-Liegi, molto simile alla tappa vinta a Sheffield) e lo stesso Giro di Lombardia. Visto il rendimento sui sette settori di pavè ad Arenberg, anche la “foresta” della più anacronistica delle classiche, la Parigi-Roubaix, potrebbe tranquillamente rientrare nei piani di espansione dell’impero del siciliano. La sfida più affascinante ed impegnativa rimarrà, però, il tentativo di centrare l’accoppiata Giro-Tour nello stesso anno. Un’impresa centrata sin qui solo da Fausto Coppi, Jacques Anquetil, Eddy Merckx, Stephen Roche, Miguel Indurain, Marco Pantani ( la cui mamma, Tonina, riceverà in dono la maglia gialla da Nibali, uno dei primi tifosi di suo figlio). Fondamentale sarà, a tal proposito, capire come Vinokourov, il general manager dell’Astana, intenderà gestire i suoi due galli italiani nel pollaio kazako: Nibali e Aru insieme o laddove correrà l’uno, marcherà visita l’altro? E, se il sardo dovesse esplodere definitivamente, sarebbe salutare per i due continuare a correre per la stessa squadra? Tutti interrogativi che, al momento, interessano poco.
Stephen Roche vincitore del Tour ’87
Ora è il momento della grande festa. Dell’ingresso ufficiale di Vincenzo Nibali nel ristrettissimo club dei supercampioni del pedale: Anquetil, Gimondi, Merckx, Hinault, Contador. Tutti capaci di vincere almeno una volta tutte e tre le grandi corse a tappe (Giro, Tour, Vuelta). E di godersi anche gli encomi che stanno giungendo a pioggia da un altro mondo, quello della politica, sempre più bisognoso di esibire simboli di un’Italia vincente e che, al momento, trova conforto soprattutto nello Sport. Meglio, vista la crisi del calcio e della Ferrari (e aggiungiamoci anche il mezzo disastro della spedizione italiana alle Olimpiadi invernali di Sochi a febbraio), dei cosiddetti ‘altri Sport’ (dalle Cichis nel tennis, agli schermidori e, soprattutto, schermidrici, a Nibali). Ma non azzardatevi più a chiamarli ‘minori’.
Nibali bacia la sua piccola Emma Vittoria in braccio alla moglie Rachele
Il podio del Tour2014: con Nibali, i francesi Pèraud e Pinot
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