I dati sulla violenza di genere resi noti in questi giorni sono impietosi. Fotografano una realtà che vede le donne vittime di carnefici, il più delle volte, sono coloro che amano e che affermano di amarle, anzi di amarle a tal punto da non poter sopportare l’idea di perderle, arrivando al desiderio di distruggerle. Ovviamente questo non può essere considerato amore, ma è una concezione malata del rapporto uomo donna.
Nel giorno internazionale della violenza sulle donne, oltre a ragionare sui dati, dobbiamo cercare di interrogarci sui motivi, sulle ragioni che spingono gli uomini ad uccidere le proprie compagne. I numeri diffusi da Eures raccontano un fenomeno in costante aumento. Nel 2018 sono state 142 le donne uccise (+0.7%) delle quali 119 all’interno del nucleo familiare (+6,3%). Nei primi 10 mesi del 2019 ne sono state uccise 94, donne colpevoli solo di aver creduto in un amore che tale non era. Nei giorni scorsi è stato diffuso anche il rapporto della Polizia di Stato, secondo il quale in Italia viene colpita una donna ogni 15 minuti, 88 donne ogni giorno sono vittime di maltrattamenti, stalking e violenza privata. Il dato positivo è che c’è una maggiore propensione a denunciare, a parlarne.
Al di là dei numeri, quello che emerge è che Il problema è culturale ed è talmente insito nella nostra struttura antropologica che, per uscirne, è necessario un mutamento di prospettiva. Tutti conosciamo miti e leggende quali il ratto di Proserpina, il ratto delle Sabine, il ratto di Europa, Apollo e Dafne. Proserpina figlia di Cerere viene rapita da Plutone, il quale, invaghitosi di lei, la trascina nell’Ade dove diventa, contro la sua volontà, regina degli inferi. Cerere chiede l’intervento di Giove, la cui intercessione consente a Proserpina di trascorrere sei mesi l’anno sulla terra e sei accanto a Plutone. Quando Proserpina è lontana, Cerere, dea della terra e della fertilità fa scendere il buio, addormenta la terra come segno del dispiacere di avere la figlia lontana. Quando l’ha accanto a sé fa tornare la primavera e la terra rinasce. A questo mito di fatto è dovuta la nascita delle stagioni. Senza il rapimento di Proserpina non avremmo avuto le quattro stagioni, ma questo è stato generato dalla sofferenza di una donna. Vi chiederete che cosa c’entra Proserpina, e così il ratto delle Sabine o il ratto d’Europa. C’entrano, perché le violenze sulle donne sono così interne al nostro vissuto, ne sono cosparse storia e religione da migliaia di anni (qualcuno conosce il nome della moglie di Noè?) che ormai sono diventate una consuetudine talmente radicata, da dover tentare di intervenire con un sostanziale cambio culturale, l’unico strumento per provare ad invertire la tendenza.
Per far ciò dobbiamo tornare molto indietro nelle nebbie del tempo. Nella Genesi Eva viene creata due volte e questo accade in poche righe. Nella prima parte viene creata ad immagine e somiglianza di Dio, “Dio li creò uguali a lui li creò”. Dopo poche righe “nasce” da una costola di Adamo. Che fine abbia fatto la prima Eva, la prima donna creata uguale al primo uomo ad immagine e somiglianza di Dio, nessuno lo sa. La donna libera, uguale ad Adamo si trasforma nel prodotto di una costola dello stesso uomo che all’inizio è creato uguale a lei. Per tornare al mito, anche quello di Apollo e Dafne narra di una violenza. Dafne, per non sottostare ai voleri di Apollo preferisce farsi mutare in albero, così come Europa, rapita da Giove, che per farla sua si tramuta in toro e la ghermisce senza pietà.
Molti artisti hanno mirabilmente raccontato questi episodi, creando opere d’arte di incomparabile bellezza stilistica, dove il pathos della tragedia in atto è raccontato con dovizia di particolari. Bernini ad esempio, nel suo gruppo scultoreo che raffigura il mito di Apollo e Dafne, si è come immedesimato nella sofferenza della ninfa, riuscendo a raffigurarne la paura, il terrore di perdere la propria purezza ed integrità, così come ha reso alla perfezione l’intento predatorio di Apollo.
Queste opere possono e devono necessariamente trasformarsi in uno spunto di riflessione sulla violenza di genere. Un po’ come è già avvenuto per l’opera lirica, dove la Carmen di Bizet si è trasformata in un manifesto di denuncia contro il femminicidio. Allo stesso modo, quadri e sculture che raccontano una violenza su una donna, possono essere sì ammirati per la loro perfezione in quanto opere d’arte ma, al contempo, essere analizzati anche dal punto di vista di quella sofferenza che è intrinseca al loro essere.
Fufi Sonnino, che io amo chiamare la dolce guerriera, si batte da sempre per i diritti delle donne e già da tempo ha ispirato questa nuova battaglia di civiltà. Io stessa ho partecipato a degli incontri che ha organizzato sul tema. Lei è convinta, a ragione, che anche l’arte debba farsi portavoce di un insegnamento che aiuti le donne a comprendere l’importanza del rispetto della propria sacralità, per liberarsi da quei retaggi millenari che le imprigionano nella rete di carnefici senza pietà, che non riescono evidentemente a comprenderne la naturale evoluzione, ritenendole a torto una proprietà della quale disporre a piacimento, con diritto di vita o di morte.
Bernini, Giambologna ed i tanti artisti che hanno attinto a miti e leggende per creare capolavori immortali, apprezzerebbero di essere portatori di un nuovo messaggio, in grado di fornire spunti di riflessione di grande impatto, che possa essere assorbito dalle coscienze dei bambini e dei ragazzi, adulti del domani. E’ evidente che i miti rispondano a logiche appartenenti a contesti storici, religiosi ben precisi, ma sono la plastica dimostrazione che la sopraffazione nei confronti della donna ha radici culturali molto antiche.
Fufi Sonnino, per dare forza simbolica alla sua legittima battaglia, si è recata presso il museo con indosso una maglietta dove è scritto chiaramente quello che l’opera d’arte rappresenta, ovverosia una violenza nei confronti di una donna. La maglietta vuole essere il veicolo di un messaggio molto forte nella sua semplicità, il cui intento è quello di squarciare il velo sulla realtà.
Le opere d’arte che narrano e raccontano la violenza sulle donne devono essere inquadrate, ovviamente, nel contesto storico nel quale sono state concepite, ma solo facendo i conti con il passato, le donne potranno essere finalmente libere da costrizioni e condizionamenti e gli uomini potranno imparare ed affermare così la comprensione di un nuovo ciclo vitale, che non vede più la donna subalterna alla volontà maschile. Solo così si potrà scrivere una nuova pagina di storia.
Domitilla Baldoni
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *
Salva il mio nome, email e sito web in questo browser per la prossima volta che commento.
Δ
Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.
© Copyright 2020 - Scelgo News - Direttore Vincenzo Cirillo - numero di registrazione n. 313 del 27-10-2011 | P.iva 14091371006 | Privacy Policy