Uomini ed animali condividono non solo le emozioni, ma anche le malattie. A sostenerlo i medici che fanno parte del progetto Zoobiquity.
Uomini ed animali condividono non soltanto le emozioni ma anche buona parte delle più diffuse malattie e patologie del pianeta. Quasi il sessanta per cento dei dieci milioni di cani, gatti, conigli ed altre specie che abitano le nostre case affrontano con noi tumori, nevrosi, diabete, Alzheimer, demenza senile, artrosi, infezioni e chi più ne ha più ne metta.
Molto si conosce ormai sul mondo degli animali domestici, ma poco si sa sulle interrelazioni clinico patologiche che condizionano la nostra specie e viceversa. Atteggiamenti e comportamenti accostabili ad un cane o ad un gatto abituati a vivere con un uomo sono riconducibili spesso alle sensazioni ed emozioni più diffuse dell’uomo.
Proprio qualche mese fa alla Emory University di Atlanta, in Georgia, il professore di neuroeconomia Gregory Bens ha sperimentato la funzione neurologica di un cane attraverso la risonanza magnetica, attestando che precise zone del cervello dell’animale si attivavano attraverso determinati stimoli, esattamente come succede all’essere umano.
Ma sulle analogie tra animali e uomini la scienza può riservare ancora molte sorprese.
Il punto della situazione sullo stato della ricerca in materia si è avuto alla terza conferenza mondiale sulla Zoobiquity, ospitata nei giorni scorsi dalla prestigiosa Rockefeller University di New York ed a cui hanno partecipato medici e fisici che studiano proprio le uguaglianze tra le malattie delle diverse specie.
Molte malattie degli animali sono assimilabili in tutto e per tutto a quelle degli esseri umani. E poco importa che siano animali domestici o specie selvatiche. Al punto che, ora, si afferma senza remore che la ricerca sulla salute e sulle malattie dell’uomo potrebbe avvantaggiarsi non poco dalle conoscenze della veterinaria.
Barbara Netterson Horowitz, cardiologa californiana ed organizzatrice della conferenza Zoobiquity, sostiene decisamente i vantaggi e le potenzialità di una ricerca medica congiunta su uomini ed animali, sia per le analisi che per le terapie.
“Gli animali sono modelli per studiare le patologie umane. Poiché la loro vita dura meno, la progressione della malattia è più facile da seguire”, conferma il professor Richard Goldstein, veterinario dirigente dell’Animal medical center di New York.
Che i delfini possano essere affetti da diabete, i gatti da forme di obesità, i cani da depressione post-partum o le alci possano diventare ubriache, sono tutti esempi, comprovati dalla scienza, di una connessione di studi e ricerche farmacologiche e cliniche che, in un domani non lontano, potranno giovare alla tutela dell’essere umano sia dal punto di vista della diagnosi precoce che della guarigione.
Quindi, perché non raccogliere quello che di buono emerge dalla ricerca, facendo attenzione a non sfruttare, però, quei metodi di laboratorio, a metà tra test e maltrattamenti clinici sugli animali, tanto giustamente contestati da associazioni come Animal equalty o Wwf,
“Bestie” ed umani sono dunque sempre più vicini. Sono esseri viventi non più divisi da ignoranze ed intolleranze, ma uniti da un unico scopo: il bene e la felicità comune, nella condivisione di sofferenze e piaceri.
Nata e cresciuta a Roma, si laurea presso l'Accademia di Costume e Moda di Roma, trattando la propria tesi sulla "Nascita e l'evoluzione del giornalismo di moda". Curiosità, determinazione e voglia di crescere professionalmente caratterizzano il mio profilo.
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