Sarà Hillary Clinton ad affrontare Donald Trump nelle presidenziali USA di novembre. È la prima donna nella storia a vincere le primarie per la Casa Bianca.
In California, il più popoloso dei 50 Stati, l’ex first lady ed ex Segretario di Stato ha battuto nettamente Bernie Sanders. A circa metà dello scrutinio nel Golden State, la Clinton ha ricevuto oltre il 60% delle preferenze. Tanto le sarebbe bastato per l’investitura, ma ha vinto anche in tre degli altri cinque Stati in cui si votava ieri, vale a dire New Jersey, New Mexico e South Dakota: Sanders l’ha spuntata invece in North Dakota e Montana, entrambi Stati delle Montagne rocciose, meno popolosi e per tradizione meno favorevoli ai dem.
La nomination di Hillary Clinton non sarà ufficiale fino alla convention di Philadelphia, a luglio, quando voteranno i superdelegati. Sulla carta sono liberi di scegliere il loro candidato preferito: a differenza dei delegati semplici, non sono obbligati a votare come dettato dagli elettori. Ma ormai è inimmaginabile che Sanders riesca a far cambiare idea a chi si è schierato a favore della Clinton.
Il presidente Barack Obama ha telefonato a entrambi i contendenti: cerca di unire il partito per contrastare meglio la candidatura di Trump. Ma il battagliero senatore del Vermont gli ha risposto che venderà cara la pelle fino all’ultimo voto.
La Clinton, da parte sua, gli ha teso la mano. Nel discorso trionfale tenuto al Navy Yard di New York, gli ha fatto i complimenti per la campagna “straordinaria”, per aver portato alle urne milioni di elettori (soprattutto giovani), e per “il dibattito vigoroso sulle disuguaglianze”. Poi è passata ad attaccare Trump, un personaggio che “divide”, “caratterialmente inadatto” a fare il presidente e il comandante in capo.
Il miliardario newyorkese, d’altra parte, non si è risparmiato nemmeno stanotte. Si è detto convinto che gli “errori” della Clinton saranno la prosecuzione naturale dei “disastri” di Obama, ed è tornato sugli scandali che hanno coinvolto l’ex Segretario di Stato, accusata di aver “trasformato il dipartimento di stato nel suo hedge fund privato”.
Dalla sua, Trump ha il record di voti nelle primarie repubblicane di tutti i tempi. Anche nei sei Stati in palio ieri – gli stessi dei dem – ha spuntato percentuali sopra il 67%. Tutto ampiamente prevedibile, perché è rimasto solo a correre contro se stesso. Ma le sue frecciatine continuano a dividere la base e le strutture del Grand Old Party. Lo speaker della Camera dei Rappresentanti, Paul Ryan, che appena pochi giorni fa aveva rotto gli indugi e dichiarato di sostenerlo, ha criticato le sue esternazioni contro il giudice Gonzalo Curiel, colui che si esprimerà nel merito della class action contro la Trump University. Trump ha accusato il giudice di non essere imparziale per via delle sue origini messicane. “Razzismo da manuale”, ha detto Ryan, per poi giurare che questo non intacca il suo sostegno alla candidatura del miliardario. Ma non è riuscito a impedire che alcuni governatori e senatori cambiassero idea.
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