Nuovo stop per il bando sui migranti di Donald Trump, noto come Travel ban o Muslim ban. Anche la seconda versione del decreto è caduta nella rete dei contrappesi al potere del presidente previsti dalla Costituzione, bloccata in tutti gli USA per ordine di un giudice federale.
Questa volta la corte che ha fermato il decreto, che impedisce ai cittadini di certi Stati di accedere al territorio degli USA, appartiene allo Stato delle Hawaii. Il giudice Derrick Watson – seguito a poche ore di distanza da un collega del Maryland, sulla costa atlantica – ha emesso un’ordinanza che sospende l’applicazione del decreto dopo il ricorso presentato da Doug Chin, il Procuratore Generale dello Stato insulare.
A un “osservatore ragionevole e imparziale”, recitano le 43 pagine della sentenza, il decreto firmato da Trump lo scorso 6 marzo appare “emesso con l’obiettivo specifico di ostacolare una religione”. “Evidentemente illogica” la spiegazione fornita dal governo, cioè che il provvedimento non si possa dire discriminatorio perché non si applica a tutti i musulmani. E la supposta minaccia alla sicurezza nazionale non basta a giustificare un provvedimento così contrario al dettato e allo spirito della Costituzione.
Secondo il procuratore Chin, il bando avrebbe avuto anche gli effetti collaterali di danneggiare il turismo, il motore economico delle Hawaii, e porre limiti indebiti alla possibilità dello Stato di accogliere studenti e lavoratori stranieri.
La prima versione del bando, presentata a fine gennaio e subito ribatte, vietava l’accesso negli USA ai cittadini di sette Stati: i sei nominati più l’Iraq. Dopo settimane roventi di proteste e ricorsi, il presidente l’ha sostituita con una versione ammorbidita nelle forme, ma non nella sostanza. Il nuovo bando non si applica più a chi ha permesso di soggiorno, status di rifugiato o doppia cittadinanza negli USA. Ma resta il principio per cui ai cittadini di quegli Stati – mai implicati in atti terroristici sul suolo degli Stati Uniti, ricordano i contrari – bisogna applicare un trattamento differenziato, e resta irrisolto anche il nodo dei ricongiungimenti familiari.
Ora il Dipartimento di Giustizia di Washington può ricorrere in appello, come del resto aveva fatto per la prima versione del bando. Intanto il presidente bolla la sentenza come “un abuso senza precedenti” e promette: “Lotteremo e vinceremo”. Ma lo schiaffo brucia, tanto più che arriva in una giornata iniziata malissimo per l’amministrazione Trump.
Oggi la commissione Intelligence della Camera dei Rappresentanti e il segretario alla Giustizia, Jeff Sessions – tutti di provata fede trumpiana – hanno liquidato come infondata l’accusa, rivolta al predecessore Obama, di averlo spiato alla Trump Tower. E la bozza della controriforma sanitaria che avrebbe dovuto soppiantare Obamacare si è ritrovata orfana all’improvviso, appena si è capito che avrebbe lasciato 24 milioni di americani senza copertura assicurativa. Ora in Campidoglio, nel fortino dello speaker Paul Ryan, la chiamano Trumpcare, mentre alla Casa Bianca l’hanno ribattezzata Ryancare.
F.M.R.
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