Il Super Tuesday incorona Hillary Clinton e Donald Trump. L’ex segretario di Stato e il miliardario newyorkese hanno vinto sette stati a testa. I democratici votavano in dodici giurisdizioni (undici stati più il territorio delle isole Samoa americane), i repubblicani in quindici.
Nel partito democratico la Clinton è riuscita a tenere a distanza Bernie Sanders, che ha vinto in quattro Stati – Colorado, Minnesota, Oklahoma e il suo Vermont – mentre la sua rivale si è imposta in Alabama, Arkansas, Georgia, Massachusetts, Tennessee, Texas e Virginia. La Clinton si è assicurata 453 delegati, contro i 284 di Sanders, e ha confermato il netto vantaggio che la separa dal suo unico rivale rimasto in corsa.
A favore dell’ex segretario di Stato ha giocato il fatto che si è votato soprattutto al Sud, la regione dove sono più numerose le minoranze nere e ispaniche. Da quando il partito democratico lotta a favore dei diritti civili, non ha mai portato alle elezioni un candidato che non avesse vinto il voto degli afroamericani. Fra i progressisti bianchi ha vinto Sanders: tre dei quattro stati che non si trovano al sud hanno votato per lui, che nel suo Vermont ha ottenuto addirittura l’86% delle preferenze. Erano impreviste le sue affermazioni in Oklahoma e Colorado, ma anche la sconfitta nel testa a testa per il Massachusetts, lo stato dei Kennedy e delle università.
Nel discorso tenuto dopo la vittoria, la Clinton ha parlato con il tono di chi ha già vinto la nomination, e ha lanciato molti più strali verso Trump che contro Sanders.
Questo Paese appartiene a tutti noi, non solo a chi guarda in una direzione, prega in una direzione o pensa in una direzione.
Fra i repubblicani, il miliardario newyorkese si è imposto in modo netto su Ted Cruz, il candidato del Tea Party, ma ancora di più su Marco Rubio, il conservatore “presentabile” adorato dalla struttura del partito.
In palio ieri c’erano 595 delegati, circa metà del totale necessario per arrivare alla convention – il prossimo luglio a Cleveland, in Ohio – matematicamente sicuro della candidatura. Trump ne ha conquistati 203, Cruz – che si è imposto in tre stati: Alaska, Oklahoma e il suo Texas, il più popoloso fra quelli in palio – 144. Con la maggioranza in un solo Stato, il Minnesota, e 59 delegati, Rubio è arrivato più vicino alla coda della classifica – i 31 delegati favorevoli a John Kasich e i tre schierati con Ben Carson – che alla testa.
La lista dei successi di Trump è lunga: Alabama, Arkansas, Georgia, Massachusetts, Tennessee, Vermont, e Virginia. L’unica delusione è arrivata dall’Alaska, dove Cruz ha spuntato la maggioranza per un soffio. Ma ora più che mai la sua corsa sembra inarrestabile. Ancora più dell’appoggio di Chris Christie – il governatore del New Jersey che si era candidato a queste primarie, ma si era ritirato presto – a favore del miliardario gioca la capacità di resistere agli attacchi, che gli arrivano forse più dai compagni di partito che dai democratici. Serve a poco rinfacciargli l’estremismo e gli accenti razzisti e sessisti della sua campagna elettorale: ha superato anche l’offerta di appoggio del Ku Klux Klan, che ad altri candidati avrebbe fatto irrimediabilmente perdere la faccia. Dopo averne preso atto, gli altri candidati non sono riusciti a intaccare la sua posizione nemmeno dandogli del doppio. L’arma in questo caso sarebbe stata un’intervista a microfoni spenti, pubblicata dal New York Times, che sembra avvalorare i sospetti di tanti, cioè che le convinzioni dell’uomo siano molto più moderate rispetto a quelle espresse in pubblico dal personaggio.
Trump è riuscito a cavalcare l’ultima accusa definendosi un “conservatore di buon senso”. E dopo l’annuncio della vittoria, si è prodotto in una delle sue battute taglienti sui rivali sconfitti: “Mi dispiace per Rubio, per lui è stata una serata molto dura. E ha speso anche un sacco di soldi”.
L’impressione dei commentatori è che scegliendo Rubio il Grand Old Party abbia puntato sul cavallo sbagliato. A questo punto appare probabile che Trump arrivi a giugno con la candidatura in tasca e la convention sia una pura formalità. Se così non fosse, le alte sfere repubblicane gli daranno battaglia senza esclusione di colpi. In ogni caso le strutture tradizionali del partito sono condannate a riflettere su una mezza sconfitta.
Il prossimo appuntamento elettorale è il prossimo fine settimana. Sabato 5 marzo, in Nebraska voteranno i democratici, in Kentucky e Maine i repubblicani, mentre in Kansas e Louisiana si esprimeranno i sostenitori di entrambi i partiti. Domenica 6 in Maine sarà il turno dei democratici.
Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *
Salva il mio nome, email e sito web in questo browser per la prossima volta che commento.
Δ
Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.
© Copyright 2020 - Scelgo News - Direttore Vincenzo Cirillo - numero di registrazione n. 313 del 27-10-2011 | P.iva 14091371006 | Privacy Policy