Donald Trump vuole riaprire le liste di proscrizione. Secondo un decreto del nuovo presidente USA, il dipartimento per la Sicurezza nazionale dovrà pubblicare ogni settimana una lista delle “azioni criminali commesse da stranieri” negli USA.
L’articolo fa parte di un ordine esecutivo intitolato “Migliorie alla sicurezza delle frontiere e all’applicazione delle leggi sull’immigrazione”, firmato mercoledì. Il documento prevede di pubblicare anche un elenco delle “città santuario”, quelle le cui autorità municipali si rifiutano di punire gli immigrati irregolari quando non violano la legge in altri modi.
Il decreto, in ogni caso, non specifica che ad essere messi all’indice siano solo gli irregolari: prendendo il testo alla lettera, nelle liste finirebbero anche i crimini commessi da chi risiede legalmente sul suolo degli Stati uniti.
Le associazioni che tutelano i diritti umani sono scese sul piede di guerra. Secondo Human Rights Watch si tratta di un atto “coerente con la demonizzazione xenofoba degli immigrati” messa in atto da Trump durante la campagna elettorale. Anche Amnesty International denuncia il rischio che un’iniziativa del genere avveleni il clima nella società.
L’idea ricorda da vicino la “lista nera” (ovvero la lista dei reati commessi da afroamericani) pubblicata da Breitbart, un sito di controinformazione adorato dall’alt-right per le sue visioni xenofobe e misogine. Steve Bannon, direttore del sito fino all’anno scorso, è poi diventato uno dei collaboratori più stretti di Trump: ha diretto la sua campagna elettorale e ora è il responsabile della strategia dell’ufficio di presidenza.
Nel frattempo, lo scontro con il Messico sulla questione del muro lungo il confine sta assumendo i connotati di una guerra commerciale. Ieri il presidente messicano, Enrique Peña Nieto, ha annullato l’incontro con Trump in programma martedì prossimo a Washington. Lo ha annunciato lo stesso Peña Nieto in un tweet. E mentre Trump sosteneva la tesi di una cancellazione “concordata” perché l’incontro comunque “sarebbe stato sterile”, il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer ha riferito che per coprire le spese – da 12 a 15 miliardi di dollari, stima lo speaker della camera dei Rappresentanti, Paul Ryan – si sta pensando di imporre una tassa del 20% sulle importazioni dal Messico.
Anche in questo caso le reazioni sono state accese. Si teme un’impennata dei prezzi, con effetti gravi sui consumi degli americani, ma ancora di più si teme la possibilità che altri stati possano sentirsi minacciati e alzare anche loro le barricate in dogana. Anche perché, quando Spicer è tornato sull’argomento per correggere il tiro (la tassa del 20% è solo una delle numerose possibilità prese in esame, questo il succo dell’intervento), è stato costretto ad ammettere che la misura in futuro – ammesso e non concesso che passi – potrebbe essere applicata anche ad altri stati.
La prospettiva di applicare un provvedimento simile non sembra delle più probabili. La supertassa costringerebbe l’amministrazione Trump ad abbassare il tiro sul suo progetto di detassare le aziende USA, e finirebbe per colpire anche le compagnie nazionali che importano merci dal Messico. Sorprende soprattutto la disinvoltura con cui si annunciano e si ritirano misure così dure contro uno stato amico e partner commerciale di Washington, cosa che ha spinto il New York Times a titolare in prima pagina “La Casa Bianca semina confusione”. Ma Trump e i suoi collaboratori hanno detto chiaramente di voler smantellare il NAFTA, l’accordo di libero scambio fra i tre stati dell’America del nord (Canada, Messico e USA). E negli ultimi giorni sembrano impegnati a mantenere le promesse, soprattutto le più sorprendenti.
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