Venezuela, una nazione allo stremo dove ormai da parecchi mesi scarseggiano cibo e farmaci. Dove quello che prima costava un dollaro ora ne costa 100. Un Paese con l’economia tra le più fiorenti fino agli anni Settanta e ridotto alla miseria più nera a partire dagli anni Novanta, quando Hugo Chavez, a capo del Partito Socialista Unito del Venezuela, vince le elezioni e diventa il nuovo capo dello stato con un programma marxistae dichiaratamente ostile al capitalismo. Chavez avrà fortuna per il decennio successivo e praticamente fino alla sua morte, sopraggiunta nel 2013. Grazie al boom delle quotazioni del petrolio, sostanzialmente l’unico bene esportato dal Venezuela, le riserve valutarie s’impennano e quadruplicano fino a un massimo di oltre 44 miliardi di dollari nel 2009, il cambio regge la sfida del “peg” e i proventi delle esportazioni vengono impiegati per finanziare programmi di spesa assistenziali.
Ma la fortuna gira le spalle al Paese già verso gli sgoccioli dell’esperienza Chavez, quando l’inflazione inizia a salire, le riserve valutarie a contrarsi e il governo reagisce con la svalutazione del bolivar a un cambio di 4,3 e l’estensione dei prezzi amministrati praticamente su centinaia di prodotti. Un’inflazione che il successore di Chavez, Nicolas Maduro, tenta di contrastare aumentando il salario – ben otto volte solo nel 2018 – e creando una criptomoneta ancorata al petrolio. Ma alla crisi già in atto, si aggiunge il tracollo delle quotazioni petrolifere e nel Venezuela già affamato entrano sempre meno dollari mentre le estrazioni diminuiscono: prima di Chavez, la compagnia petrolifera statale PDVSA produceva 3 milioni di barili al giorno con 45.000 dipendenti, mentre oggi si aggira a meno della metà con oltre 3 volte il numero dei dipendenti.
Ragioni ideologiche e convenienze di un apparato politico-burocratico e militare profondamente corrotto hanno portato il Paese a un punto di non ritorno, alla migrazione di migliaia di persone ogni giorno in fuga dalla mancanza di cibo e farmaci verso il confine col Brasile.
Da ieri per il Venezuela si è acceso un barlume di speranza: in attesa delle elezioni il leader dell’opposizione Juan Guaidò si è autoproclamato presidente. Con la benedizione della Casa Bianca ma con l’ostilità dell’esercito che non lo riconosce.
«Giuro di assumere formalmente le competenze dell’esecutivo nazionale come presidente incaricato del Venezuela per arrivare alla fine dell’usurpazione, ad un governo di transizione e indire libere elezioni»,
ha dichiarato Guaidò in piazza Juan Pablo II a Caracas, davanti a migliaia di persone che partecipavano alla manifestazione contro il governo di Maduro. Guaidó ha poi rivolto un appello alle Forze armate, chiedendo loro di «ristabilire la costituzione» nel Paese sudamericano, facendo temere che nei prossimi giorni si possa arrivare allo scontro armato.
Maduro si è insediato due settimane fa per un secondo mandato da presidente del Venezuela, ma la sua seconda elezione è stata contestata come irregolare dall’opposizione e da buona parte della comunità internazionale. Ieri il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, ha chiesto a Maduro di dimettersi e ha invitato le forze armate venezuelane a ripristinare la democrazia, mentre altri membri del gabinetto Trump avvertivano che «tutte le opzioni» erano aperte in caso il presidente venezuelano «facesse del male» a un membro dell’opposizione. Oggi il ministro degli Esteri russo ha messo in guardia gli Usa da un intervento militare in Venezuela.
Intanto stanno già arrivando i riconoscimenti del nuovo status quo in Venezuela da parte di diversi stati, oltre agli Usa. Il segretario generale dell’Organizzazione degli Stati americani (Oas), Luis Almagro, ha subito riconosciuto Juan Guaido come presidente ad interim del Venezuela così come i governi di Canada, Argentina, Brasile, Cile, Colombia, Guatemata, Honduras, Perù, Ecuador, Bolivia, Costa Rica e Paraguay. Mentre Messico, Cuba, Turchia e Siria continuano a sostenere come presidente del Venezuela Maduro.
Dal versante europeo a Guaidò arriva il sostegno dalla Francia mentre la Ue sta ancora valutando la sua posizione.
Intanto gli scontri tra le forze dell’ordine e i cittadini che manifestano contro il governo di Nicolás Maduro hanno causato 16 morti in soli due giorni, secondo la Commissione interamericana dei diritti umani (Iachr). Il direttore del Forum criminale venezuelano, Gonzalo Himiob, ha inoltre aggiornato anche il bilancio delle persone fermate, dichiarando che 278 persone sono state arrestate dallo scorso lunedì.
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