Il parlamento del Venezuela – controllato da Unità Nazionale, la coalizione di opposizione al presidente Nicolas Maduro – ha accusato il presidente di aver compiuto un colpo di Stato.
La Commissione elettorale di Caracas, infatti, ha bloccato il referendum sul mandato del presidente promosso dall’opposizione. Così facendo, di fatto, ha escluso ogni possibilità di elezioni presidenziali anticipate: la legge venezuelana vieta di far cadere il governo negli ultimi due anni di mandato, e Maduro, eletto nel 2013 alla morte del suo predecessore Hugo Chavez, è in carica fino al 2019. La tesi dell’accusa è che la Commissione sia stata manovrata da Maduro per consentirgli di governare indisturbato.
La decisione di Unità Nazionale è stata presa in una sessione parlamentare particolarmente tesa. Julio Borges, capo della coalizione, ha accusato Maduro di aver impedito ai cittadini di andare alle urne. A un certo punto circa cento sostenitori del presidente hanno fatto irruzione nell’aula, interrompendo la discussione. Per respingerli il personale di sicurezza è dovuto ricorrere alle maniere forti, e secondo i parlamentari due persone sono rimaste ferite.
La Commissione elettorale sostiene di aver trovato firme false tra le 200 mila presentate dai promotori del referendum (l’1% del corpo elettorale, come prevede la legge in Venezuela), e li accusa di voler organizzare loro un colpo di Stato per prendere il controllo delle risorse petrolifere del Paese. È la stessa linea sostenuta dal Partito Socialista Unito del Venezuela, la formazione del presidente. L’industria petrolifera venezuelana, parzialmente aperta alle imprese straniere negli anni ’90, è stata rinazionalizzata durante la presidenza di Chavez: tutte le società attive nell’estrazione di idrocarburi devono per legge avere come azionista di maggioranza PdVSA, la compagnia petrolifera di Stato.
L’opposizione, invece, accusa la Corte di aver respinto la proposta del referendum “incostituzionalmente e senza fondamenti solidi”. In un documento pubblicato su Twitter da Julio Borges, i partiti che controllano il Parlamento sostengono di voler denunciare alla Corte Penale Internazionale i giudici della Commissione elettorale, e chiedono all’esercito di non obbedire agli ordini del governo che violano la Costituzione o i diritti fondamentali dei cittadini.
Nel testo si fa anche riferimento a indagini sulla nazionalità di Maduro che lo renderebbero incompatibile con la carica di presidente: secondo la Costituzione venezuelana, il capo dello Stato non può essere cittadino di altri Stati, e la madre di Maduro è di nazionalità colombiana.
Sulla questione è intervenuto anche Henrique Capriles, due volte candidato alle elezioni presidenziali, sconfitto nel 2012 da Chavez e nel 2013 da Maduro. Capriles – che pochi giorni fa aveva rivelato di essere stato diffidato a lasciare il Paese dalle autorità giudiziarie, senza altre spiegazioni – ha convocato per mercoledì 26 ottobre una manifestazione pacifica di protesta davanti al palazzo di Miraflores, la sede del governo a Caracas.
Il presidente Maduro ha commentato l’accaduto dall’Arabia Saudita, dov’era impegnato in un vertice degli Stati produttori di petrolio. “La rivoluzione continuerà a vincere”, dice nel video che ha pubblicato, “nonostante le costanti pretese della destra che sta cercando di impossessarsi del potere in modo incostituzionale”.
Le opposizioni imputano a Maduro di essere il principale responsabile della gravissima crisi economica del Venezuela: da due anni nel Paese cibo e medicinali si trovano con difficoltà, e l’inflazione sfuggita a ogni controllo costringe milioni di famiglie all’indigenza. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, nel 2016 l’inflazione in Venezuela è stata del 475 per cento. Una delle cause della crisi è il crollo del prezzo del petrolio. I proventi dell’oro nero, nel Paese sudamericano, sostenevano il gigantesco sistema di sussidi con cui il governo di Chavez e poi di Maduro aveva conquistato il sostegno della popolazione.
F.M.R.
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