Nel silenzio sacrale di una piazza sulla quale si affaccia la più imponente basilica che con le sue braccia spalancate è lì da secoli, pronta ad accogliere il mondo intero, la figura vestita di bianco appare più piccola, più curva sotto il peso delle croci delle grandi sofferenze di quest’era. Nel Venerdì di Passione e Morte di Gesù è usanza che il Vicario di Cristo presieda la Via Crucis. La prima fu celebrata nel 1750 da papa Benedetto XIV, poi con l’Unità d’Italia se ne perse la tradizione fino al 1959 quando Giovanni XXIII riportò il rito nell’ anfiteatro Flavio, ma solo per quell’ anno. Quindi, la tradizione diventa costante dal 1965 con Paolo VI.
Con le celebrazioni liturgiche nella morsa del Coronavirus, la Pasqua dei cattolici è stata rivoluzionata. Le 14 Stazioni della Via Crucis quest’anno Papa Francesco le ha meditate in una piazza senza fedeli. Nessun discorso, solo la preghiera ad accompagnare le varie tappe del percorso più doloroso di Nostro Signore fino alla sommità del Golgota dove viene crocifisso come il peggiore dei malfattori. Ogni tappa è accompagnata dalla meditazione di un detenuto, un poliziotto, familiari di vittime, educatori del carcere di Padova che le hanno curate insieme al cappellano don Marco Pozza e dalla volontaria Tatiana Mario.
Quattordici persone hanno raccolto l’invito di Papa Francesco, che si è fatto interprete del «grido di paura e di dolore dei 62 mila imprigionati nei nostri istituti penitenziari», e hanno meditato sulla Passione di Nostro Signore Gesù Cristo rendendola attuale nelle loro esistenze. Tra loro figurano: cinque persone detenute, una famiglia vittima per un reato di omicidio, la figlia di un uomo condannato alla pena dell’ergastolo, un’educatrice del carcere, un magistrato di sorveglianza, la madre di una persona detenuta, una catechista, un frate volontario, un agente di Polizia penitenziaria e un sacerdote accusato e poi assolto definitivamente dalla giustizia dopo otto anni di processo ordinario.
Nel tempo sospeso della Pandemia la piazza del Bernini, popolata solo dalla presenza di Francesco chiuso in un silenzio orante e delle dieci persone, rappresentanti del carcere “Due Palazzi” di Padova e personale sanitario del Vaticano, che portavano la croce nella straordinaria Via Crucis, c’era tutto il mondo. Un mondo impressionato per quello che sta accadendo, globalmente messo nelle condizioni, questa volta, di compenetrarsi nelle sofferenze di Colui che oggi che come tanti secoli fa viene “inchiodato” alla croce del dolore e della morte. In tante forme.
Tutti là, nella piazza dove l’imperatore Costantino volle erigere la prima chiesa sul sepolcro dell’apostolo Pietro, lungo l’itinerario segnato dalla luce delle fiaccole che brillano nel buio della tragedia presente. Dietro la croce che per le prime otto delle quattordici stazioni, partendo dall’obelisco, ha girato intorno ad esso, per poi risalire verso il sagrato dove l’attendeva Francesco in profondo raccoglimento, c’erano idealmente i “crocifissi” di oggi.
Nei testi è risuonata così la voce grave e commossa della gente che abita il mondo delle carceri. Che proprio nel luogo più buio e più triste, lontano da tutti gli affetti più importanti, ha scoperto con stupore di non essere solo ma in compagnia di Gesù. Come ha scritto un assassino, “quell’Uomo innocente, condannato come me, è venuto a cercarmi in carcere per educarmi alla vita”.
Una Via Crucis completamente diversa per il rispetto delle regole che vogliono circoscrivere i contagi da Coronavirus, una Via Crucis che quest’anno ha dato voce ai tanti ‘crocifissi ‘ che non conosciamo e agli altrettanti ‘cirenei’ che ogni giorno si caricano della croce di qualcuno. Senza darlo a vedere, silenziosamente. Ma con l’ardore che ogni anima con i piedi in terra e lo sguardo verso il Cielo sa dimostrare.
Alessandra Binazzi
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