Quanto costa il silenzio? 17 miliardi l’anno. Così la onlus Intervita studia, al livello nazionale, i costi economici e sociali della violenza contro le donne.
La violenza “domestica” solo nel nostro paese costa quasi 17 miliardi, più 6 miliardi di euro investiti per contrastarla. Alcuni oneri finiscono a carico dei comuni per i servizi sociali ed i centri antiviolenza.
La violenza sulle donne rappresenta, oggi più che mai, la violazione dei diritti della persona riconosciuta in tutte le sedi istutuzionali di ogni Paese civile ed organizzazione internazionale. L’ultimo decreto legge numero 93 del 14 agosto 2013 “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province”, è stato convertito in legge numero 119 il 15 ottobre 2013. La tutela delle donne e delle violenze in generale deve essere e rimanere un diritto.
Oltre il 30 per cento delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito violenza almeno una volta nella propria vita. Nonostante questo, solo il 18 per cento ha considerato questo atto di violenza un reato. Solo nel 2012, sono state 124 le vittime di femminicidio in Italia. Ancora oggi le donne sono ben lontane dall’essere tutelate da abusi e violenza. Lo dimostra il fatto che è solo del 1993 la Dichiarazione delle Nazioni Unite sulla eliminazione della violenza contro le donne, dove quest’ultima viene definita come “qualunque atto di violenza in base al sesso, o la minaccia di tali atti, che produca o possa produrre danni o sofferenze fisiche, sessuali, o psicologiche, coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che privata, delle donne”.
Questi i dati confermati dalla ricerca Intervita. Gli studi fatti da questa organizzazione non governativa, che fino ad ora ancora nessuno aveva pensato di attuare, hanno permesso di stimare i costi economici (in termini di farmaci, salute, atti legali etc…), i costi sociali (risarcimento danni) ed il valore dell’investimento del 2012 preso in considerazione.
L’unico dato impossibile da stimare su carta é inevitabilmente il prezzo della violenza psicologica, fisica, emotiva ed esistenziale di ogni individuo. La vita di ogni donna, di ogni bambino, di ogni membro familiare, che cambia, creando cicatrici nel tempo. Cifre inestimabili con le quali bisognerebbe fare i conti ogni giorno o per meglio dire ogni tre giorni. Il dato agghiacciante è che ogni tre giorni una donna, in Italia, viene uccisa dal proprio partner, marito, convivente o amante ed ex di una di queste categorie.
Così Barbara Romagnoli, giornalista professionista, attiva nel campo del femminismo e della tutela delle donne, ha manifestato durante la giornata del 25 novembre, contro la “cultura della violenza“:
“Chiediamo che la parola femminicidio non venga più sottovalutata, svilita, criticata. Perché racconta di un fenomeno che ancora in troppi negano, o che sia qualcosa che non li riguarda. O addirittura che molte delle donne uccise o violate, in fondo in fondo, qualche sbaglio lo avevano fatto. Quanta disumanità nel non voler vedere il nostro immenso lavoro, quello pagato e quello non pagato, il lavoro di cura e riproduttivo, il genio, la creatività, il ruolo multiforme delle donne.”
Così la giornalista chiede di fermarsi per riflettere e far sentire la propria voce. Al lavoro con 15 minuti di silenzio, per le strade con manifestazioni in piazza ed in casa, appendendo sui balconi stoffe, abiti o scarpe che siano di colore rosso. Con una lettera diretta chiede anche alle cariche politiche femminili, aumentate di gran numero negli ultimi anni, di scendere in campo:
“Fermiamoci per 24 ore da tutto quello che normalmente facciamo. Proclamiamo uno sciopero generale delle donne che blocchi questo maledetto paese. Perché sia chiaro che senza di noi, noi donne, non si va da nessuna parte. Senza il rispetto per la nostra autodeterminazione e il nostro corpo non c’è società che tenga. Perché la rabbia e il dolore, lo sconforto e l’indignazione, la denuncia e la consapevolezza, hanno bisogno di un gesto forte.”
Nata e cresciuta a Roma, si laurea presso l'Accademia di Costume e Moda di Roma, trattando la propria tesi sulla "Nascita e l'evoluzione del giornalismo di moda". Curiosità, determinazione e voglia di crescere professionalmente caratterizzano il mio profilo.
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