“I messaggi che invii in questa chat e le chiamate sono ore protette con la crittografia end-to-end”. Questo l’avvertimento di WhatsApp che ha cominciato a comparire sui nostri telefonini da qualche giorno. La piattaforma di messaggeria instantanea di cui nessuno di noi può più fare a meno sembra infatti abbia trovato il modo di rispondere, almeno in parte, alle minacce informatiche.
Sono orgoglioso che il nostro team abbia raggiunto questo traguardo – ha scritto su Facebook il fondatore della piattaforma Jan Koum– d’ora in poi ogni messaggio, foto, video, file e messaggio vocale inviato sarà criptato di default se il mittente e il destinatario useranno entrambi l’ultima versione della nostra applicazione. Anche le chat di gruppo e le chiamate vocali saranno criptate.
Cos’è la crittografia ‘end to end’. Cominciamo subito a dire che non l’hanno inventata i tecnici di Facebook, il social network che ha comprato WhatsApp nel febbraio 2014 per la modica di cifra di 19 miliardi di euro. Servizi di chat come Telegram, attivo dal 2013, utilizzavano già la cifratura end to end (lett. punto-punto).
Per vedere come funziona, prendiamo una conversazione qualsiasi tra l’utente A e B. Se entrambi hanno l’ultima versione della chat aggiornata e se, nel caso di WhatsApp, hanno confermato il loro assenso, tutti i messaggi delle conversazioni (vocali e non) saranno visibili rispettivamente, solo sul cellulare di A e sul cellulare di B. Nulla di ciò che scriveranno da quel momento rimarrà in chiaro sui server e, di conseguenza, le informazioni contenute non potranno essere “prese” usando quel canale.
Si attiva cioè quello che è definito lo ‘scambio di chiavi Diffie-Hellman’, dal nome dei due crittografi che lo hanno pubblicato nel 1976. In altre parole, i due utenti stabiliscono una “chiave”, un codice condiviso per scambiarsi le informazioni desiderate, nonostante queste ultime viaggino su un canale pubblico di comunicazione.
“Siamo felici di fare la nostra parte nel mantenere le informazioni delle persone fuori dalla portata di hacker e criminali informatici”. Ma ai messaggi non potrà arrivare neanche il lungo braccio di “regimi repressi
WhatsApp sembra così prendere posizione, anche se indirettamente, sulla questione “privacy e sicurezza dei dati” posta in primo piano dalla lotta Apple-Fbi sui dati dell’IPhone del killer di San Bernardino.
“Riconosciamo il lavoro importante delle forze dell’ordine nel tenere le persone al sicuro – si legge sul blog della compagnia – ma gli sforzi per indebolire la cifratura dei dati espongono le informazioni delle persone all’abuso di cybercriminali, hacker e Stati canaglia”.
P.M.
Laurea magistrale in Storia contemporanea presso L'Università degli studi Roma tre. Master di primo livello I mestieri dell’Editoria, istituito da “Laboratorio Gutenberg” di Roma con il patrocinio del Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale presso “Università Sapienza di Roma”. Dopo la laurea ho svolto uno stage presso Radio Vaticana, dove ho potuto sperimentare gli infiniti linguaggi della comunicazione.
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