Roger Federer, la vecchia guardia non vuole essere "rottamata"
Definite le semifinali maschili e femminili del torneo di Wimbledon. A sfidarsi per i due posti in finale saranno, tra gli uomini, Djokovic e Dimitrov nella parte alta del tabellone e, nella parte bassa, Federer e Raonic. Tra le donne, invece, si affronteranno oggi Kvitova e Safarova e, a seguire, Bouchard e Halep.
Il torneo maschile presenta un affascinante incrocio tra la nobiltà tennistica tradizionale e la “nouvelle vague”: Djokovic e Federer sono i superstiti dei “fab four” dopo le eliminazioni eccellenti di Nadal e Murray; Dimitrov e Raonic a rappresentare il nuovo che avanza.
Nick Kyrgios: un futuro assicurato
Fin qui è stato un torneo abbastanza lineare sino agli ottavi di finale dove si è registrata la clamorosa sorpresa della sconfitta del n. 1 del mondo, Rafa Nadal (anche se a Londra gli organizzatori hanno assegnato all’iberico la testa di serie n. 2), contro l’emergente stellina australiana, ma emblema di una società “down under” fortemente multietnica (papà Giorgos è greco, mamma Norlelia malese), il 19enne Nick Kyrgios in quattro set e stavolta senza alcuna attenuante legata ad acciacchi fisici. L’australiano è appena il n. 144 del mondo e per ritrovare un giocatore dalla classifica così bassa in grado di estromettere da uno Slam il leader dell’Atp bisogna risalire all’edizione 1992 dei Championships quando il russo Andrei Olhovsky sconfisse in quattro set “Big Jim” Courier al terzo turno. Un carneade, dunque? No, un predestinato. I numeri citati, infatti, sono solo in apparenza fuorvianti, visto che il talento di 1,93 di Canberra, strappato in tenera età al basket, solo 18 mesi fa era n. 843. Asse servizio-diritto tanto elementare quanto devastante, fisico (cui dovrà aggiungere qualche chiletto di muscoli, è evidente) prestante, notevole apertura alare e una sicurezza nei propri mezzi che sconfina nella sfrontatezza (“Posso batterlo, io gioco per diventare n. 1“, aveva detto alla vigilia del match con Nadal) testimoniata anche dall’ingresso sbarazzino in campo con tanto di cuffiette fucsia. Ieri, però, la battuta d’arresto contro un altro astro nascente del tennis mondiale, il canadese di origine montenegrina, Milos Raonic, altro gigante dal servizio-bomba. Anche in questo caso, vicenda archiviata in quattro set (6-7 6-2 6-4 7-6) ma le sensazioni sono diverse: nel caso del pivot nordamericano (1,96cm, ndr), la potenza di cui dispone è micidiale quanto se non più di quella dell’australiano ma il talento naturale e il tocco di palla decisamente inferiore. Non deve soprendere, però, la vittoria di Raonic in questa sfida tra giovani rampanti perchè il canadese ha quasi 24 anni e molto più tennis professionistico nelle gambe e nel braccio. E l’esperienza su palcoscenici del genere conta, eccome. Ma se, anche in forza dei notevoli progressi mostrati da Raonic sulla lenta terra, non è difficile pronosticargli un futuro tra i primi della classe, nel caso di Kyrgios ci si trova di fronte ad un potenziale fenomeno: se non si blocca per infortuni o per lacune caratteriali, il ragazzo potrebbe arrivare, tra qualche anno e completata la maturazione fisica, addirittura in vetta. Intanto, il talento aussie si potrà conslare con la nuova classifica che l’Atp sfornerà lunedì: non troverà più il proprio nome accanto alla casella 144, ma alla 66. Un bel balzo da canguro.
Milos Raonic esprima la grinta della nuova generazione
Piccoli corsi e ricorsi della storia tennistica: a maggio, prima degli Internazionali d’Italia, Federer volle con sè in Svizzera proprio Kyrgios per allenarsi. Nell’inverno del 1988, un altro mostro sacro della racchetta, Ivan Lendl, fece la stessa cosa invitando nella sua villa in Connecticut (Ohio) con tanto di campo privato, un giovane di belle speranze: tale Pete Sampras, tra l’altro anch’egli di rigini elleniche. E sappiamo tutti quel che accadde dopo… Un segno del destino? Di certo, il segno che tra fenomeni ed aspiranti tali ci si riconosce.
Fa rabbia, comunque, pensare che solo 12 mesi fa Kyrgios e il nostro Gianluigi Quinzi condividevano l’avventura a Wimbledon nel torneo riservato agli juniores. E che Quinzi vinse quel torneo, con l’aussie eliminato già al 3° turno dal coreano Hyeon Chung, poi avversario sconfitto da quinzi in finale.
Ad affrontare Raonic sarà Roger Federer che è uscito vincitore dal derby elvetico con il campione degli Australian Open, Stanislas Wawrinka, dopo quattro set : 3-6 7-6 6-4 6-4. Partita di difficile lettura, quella tra i due campioni rossocrociati. Wawrinka era partito fortissimo brekkando il rivale già al quarto game del primo set (1° turno di battuta ceduto da Roger in tutto il torneo), sfoggiando il consueto rovescio a una mano difficilissimo da contenere, un servizio molto solido (11 punti su altrettante prime in campo) e una notevole aggressività che costringeva il più celebre connazionale ad un atteggiamento difensivo che, su questi campi, paga poco. Poi, nel secondo set, il film cambiava con Federer che saliva vertiginosamente con la battuta e Wawrinka che diventava meno intoccabile sui propri turni di servizio. Il tie break era la logica conclusione e a vincerlo era il 7 volte re dei prati per 7 punti a 5, complici anche alcuni errori grossolani dal fondo di “Iron Stan” che, da qui in poi, non sarebbe stato più lo stesso. Un medical time out chiamato per un mal di stomaco, andatura caracollante, sensazione diffusa di scarsa combattività e un body language estremamente negativo. Potrebbero aver pesato i tre giorni consecutivi in cui è stato costretto a giocare e le energie nervose bruciate nelle successive polemiche con l’organizzazione. Fatto sta che Federer assumeva, deciso, il comando delle operazioni e, da fondocampo, non si limitava più a contenere ma riesciva anche a togliere il tempo all’avversario e ad accelerare per primo. Il servizio di Federer, poi, era quello delle giornate migliori e tornava a scricchiolare solo nell’ultimo game della partita quando, anche a causa di due punti regalati per tentare la soluzione ad effetto e compiacere il pubblico (nel Royal Box erano presenti anche William e Kate, ndr), si trovava costretto a fronteggiare un’insidiosa palla break che avrebbe potuto riammettere in partita un Wawrinka che pochi istanti prima pareva desiderare solo una bella doccia. Irritante, comunque, l’atteggiamento del n. 3 del mondo. Federer chiudeva al 5° match point e centrava così la sua 35° semifinale in uno Slam (primato assoluto con Connors, secondo, fermo a 31) e la sua 72° vittoria ai Championships (secondo dietro al solo Connors, primatista con 84 vittorie). Una partita, nel complesso, non entusiasmante con un Federer davvero convincente solo nel servizio. Da fondocampo, invece, ha sofferto troppo il palleggio lungo di Wawrinka finchè l’avversario non ha accusato il visibile calo. Sorprende, poi, che Roger abbia sfruttato solo in parte l’apatia mostrata da Stanislas nel terzo e quarto parziale. La sensazione era che il match fosse completamente nelle sue mani ma il punteggio è rimasto in bilico in entrambi i set. Un Federer d’annata avrebbe preso il largo. Ora, Federer-Raonic e l’esito della sfida appare molto incerto. Lo svizzero è avanti 4-0 nei precedenti ed ha vinto piuttosto nettamente (6-4 7-6 6-2) il confronto più recente, peraltro l’unico in un torneo Slam, quello in Australia nel 2013. Però attenzione, negli altri tre confronti, tutti del 2012, Federer ha sempre vinto in volata. E da allora Raonic è cresciuto molto. Comunque, al tirar delle somme, l’esperienza in fasi calde di un torneo come questo, dovrebbe avere ancora un peso.
Grigor Dimitrov congeda dal torneo il campione uscente, Andy Murray
Djokovic, invece, è stato bravo a risalire impetuosamente la corrente e a rimontare da una fastiosa situazione di un set a due contro un tipo piuttosto pericoloso su questi campi, Marin Cilic. Dopo un avvio sin troppo lanciato (6-1 il primo set) da parte del vincitore di Wimbledon 2011, infatti, il croato registrava il servizio e Nole cominciava ad innervosirsi e ad essere falloso cedendo 6-3 e 7-6 (7-4) i due successivi parziali all’allievo di Ivanisevic (suggestivo il confronto a distanza con il coach di Djokovic, Boris Becker), salvo poi rimettersi in carreggiata e riuscire a domare i servizi dell’avversario per un duplice 6-2 che suggellava una rimonta divenuta non scontata.
In semifinale, il serbo se la dovrà vedere con Grigor Dimitrov, fresco vincitore del suo primo torneo su erba, il Queen’s, tradizionale prologo all’evento tennistico dell’anno. Del talento del bulgaro, non a caso soprannominato “baby Fed” per l’incredibile somiglianza nella tecnica esecutiva dei colpi con il Re dei Re, si sa da tempo. Ma si dubitava ancora della sua capacità di tradurla in risultati, soprattutto in occasioni così importanti e contro un avversario che fa della solidità il proprio mantra, Andy Murray. La facilità con cui “mister Sharapova” (il motivo di quest’altro nomignolo è piuttosto intuitivo) ha liquidato il campione in carica, annichilito con un perentorio 6-1 7-6 (4) 6-2, lascia supporre che Dimitrov abbia finalmente aggiunto concretezza ad una naturale propensione a specchiarsi nella propria bravura. Forse il ragazzo di Haskovo è maturato ed è divenuto un agonista vero e non più uno splendido esecutore di magnifici colpi isolati. Non più nè “baby Fed” nè “mister Sharapova” (peraltro uscita male dal torneo per mano di Angelique Kerber negli ottavi). Semplicemente Grigor Dimitrov.
Nole Djokovic rivuole il trono mondiale
Anche in questo caso, comunque, nonostante la “manina benedetta” che indubbiamente il bulgaro possiede, l’esperienza anche in questo caso potrebbe avere un ruolo decisivo in favore di un Djokovic da troppo tempo all’asciutto in uno Slam ( non ne vince uno dall’Australian Open 2013) e allettato dalla prospettiva di riagguantare il trono di n. 1 del mondo in caso di successo a Wimbledon.
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